ERSAF, in collaborazione con l’Università di Firenze, Timesis e diversi agricoltori lombardi, prosegue nel 2024 un progetto di ricerca sul grano saraceno: uno “pseudocereale” dalle rilevanti proprietà nutritive, privo di glutine e con una produzione mondiale in costante crescita
Lo si conosce come grano saraceno ma non è un cereale, e appartiene invece alla famiglia delle Polygonaceae: una famiglia la cui etimologia – pòly (molti) e gonium (angolo) – si riferisce nel caso del grano saraceno alla forma angolosa del suo achenio, ovvero un frutto secco che racchiude all’interno un seme.
Ma oltre ad essere naturalmente privo di glutine, il grano saraceno è ricco di elementi attivi: antiossidanti, aminoacidi, vitamine del gruppo B, folati (che contribuiscono al rafforzamento del sistema immunitario), minerali (tra cui ferro, fosforo, rame, zinco, selenio e potassio) e fibre. Nella sostanza uno pseudocereale come la Quinoa e l’Amaranto, da più parti riconosciuto come “Il grano della salute” per le sue rilevanti proprietà nutritive e i benefici che è capace di apportare al nostro organismo.
Ed è proprio nell’ambito del cammino di ricerca e sperimentazione sulle “Colture minori” che nel 2024 prosegue il progetto della Struttura Filiere Agro-alimentari di ERSAF incentrato sul grano saraceno: un progetto che si avvale della collaborazione dell’Università di Firenze, del gruppo di tecnici di Timesis e della fondamentale partecipazione di diversi agricoltori lombardi, i cui terreni si collocano in fasce pedoclimatiche tra pianura, collina e montagna.
Nel corso del 2023 sono state selezionate e coltivate sette diverse varietà di grano saraceno (Fagopyrum esculentum) in terreni montani, collinari e pianeggianti, coinvolgendo aziende locali alle quali sono state distribuite le sementi, considerando la germinabilità e la disponibilità dei terreni: il progetto proseguirà lungo tutto il 2024 con sei diverse varietà di grano saraceno – una pianta che ama terreni poveri e ha dimostrato di crescere bene in aree montane – con semine primaverili ed estive.
Una coltura etichettata come “minore” anche se i numeri raccontano una storia diversa: dati FAO del 2020 parlano di una produzione mondiale di quasi quattro milioni di tonnellate, in costante crescita, concentrata per due terzi in Russia (il primo paese produttore con 1.186.333 tonnellate) e Cina, con 404.259 tonnellate. Tra i paesi europei la Francia risaltava per le sue 122.216 tonnellate, mentre la produzione italiana – prevalentemente concentrata in Valtellina, Garfagnana e Mugello – si ferma a tremila quintali (dato del 2019) a fronte di una massiccia importazione, perlopiù dalla Cina e da altri paesi europei.
Dopo decenni in cui i sistemi colturali intensivi e semplificati – basati sulla coltivazione di poche specie vegetali – si sono diffusi in maniera incontrastata, stiamo assistendo al ritorno di una maggior diversificazione colturale, dovuta ad una progressiva perdita di competitività e produttività di questi modelli agricoli. Le difficoltà di mercato dovute a prezzi stagnanti e costi di produzione crescenti, unite alle pressioni ambientali e dell’opinione pubblica per un’agricoltura più sostenibile, stanno infatti spingendo le aziende a cercare nuove soluzioni per restare competitive, tra cui il rafforzamento delle produzioni locali.
Inoltre, di fronte all’accresciuta sensibilità per le tematiche ambientali, le nuove generazioni stanno intravedendo opportunità imprenditoriali nelle produzioni non tradizionali, e nel recupero di coltivazioni abbandonate capaci di coprire una domanda crescente.
Come si legge nella sezione del sito di ERSAF dedicata alle colture alternative – ambito che ci vede attivi con una serie di progetti – secondo i dati del Sistema Informativo Agricolo Regionale (SIARL), le colture che in Lombardia stanno destando un interesse crescente sono quelle dei piccoli frutti (ribes, ribes rosso, uva spina, mora, lampone, mirtillo, alchechengi, bacche di goji), frutta da guscio (noce, nocciolo e mandorlo), bambù, luppolo, canapa, lino e piante aromatiche officinali, oltre a grani “antichi” quali appunto il grano saraceno, oltre a miglio e segale.